Si hanno sempre mille argomenti per iniziare un articolo che parla della vita. La difficoltà subentra quando siamo costretti a parlare di una esistenza che si spezza a tredici anni: attimo che segna la fine dei sogni-progetti, cala il sipario sulle relazioni, si smorzano gli affetti tangibili i cui segni di tenerezza s’inceneriscono. Rimane solo la memoria che li rende presente e fa da ponte tra noi e la loro vita invisibile.
È quanto è avvenuto questa mattina nella Chiesa di “San Pietro e Paolo”, a Catania, nel corso della Celebrazione eucaristica e delle Esequie per Manuela Corrado, in cui le parole cedono il posto al silenzio ed al rispetto del profondo dolore dei genitori, della sorella più piccola, dei nonni, degli amici, dei compagni di scuola e delle suore del Sacro Cuore, dove ha frequentato la scuola elementare, e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in cui ha iniziato il percorso della Secondaria di primo grado.
La stessa Manuela ha consegnato, questa mattina, la sua vita ai presenti attraverso una lettera scritta di suo pugno e fatta recapitate al Papa, tempo fa, tramite la sorellina perché non potendo essere presente ad un’udienza papale, scrive, “da poco ho affrontato un importante intervento e devo evitare luoghi affollati”. Ma “ho preso il coraggio di scrivere per raccontare la mia storia ed essere testimone del grande dono che Dio ha voluto concedermi”.
Se dovessi commentare e dare il giusto peso alle parole già le espressioni iniziali “coraggio di scrivere” ed “essere testimone” delineano una personalità audace e gratadavanti alla fragilità della propria vita.
Per Manuela si tratta solo di affermazioni o sono qualcosa di più? Per lei “coraggio” significava avere davanti l’ostacolo e decidere di accoglierlo. “Sono nata con una cardiopatia – racconta – il mio cuoricino non si era formato bene e così, sin dai primi mesi, sono stata sottoposta a diversi interventi a cuore aperto, ben sette”.
A soli tredici anni di vita Manuela sceglie di essere coraggiosa e nello stesso tempo testimone del valore della fiducia e della gratitudine anche verso i medici dell’ospedale “Bambin Gesù” di Roma che si erano “occupati” di lei. “Grazie a Dio – scrive – che ha guidato i loro passi e illuminato le loro scelte, ho vissuto momenti felici ed ho potuto trascorrere un’infanzia fatta di scuola, vacanze, interventi, terapie …”. Nel 2018 però “ho cominciato a stancarmi e pian piano ho dovuto rinunciare a fare quello che per tutti gli altri era normale”. Nel gennaio 2020 tutta la famiglia decide di trasferirsi a Roma: “anche la nonna e il mio cane, una femmina di Cavalier King di nome Zoe”. Il cuore di Manuela era arrivato ad un bivio: “I medici hanno prima provato con delle terapie farmacologiche, ma alla fine la decisione è arrivata, il mio cuoricino andava sostituito, non potevano più ripararlo. È difficile scrivere ciò che ho pensato e tutte le domande che mi si sono affollate nella mente. Ho chiesto ai miei genitori: – Quando mi cambieranno il cuore io vi vorrò sempre bene e saprò che voi siete la mia mamma e il mio papà? – e poi – “Ma per avere un cuore nuovo, una persona morirà!?”.
Manuela si percepisce come quell’atleta che deve saltare l’ultimo ostacolo ed avverte la fatica. Ma quanta gioia proverà dopo. La sua nobiltà di sentimenti ne affinano la sensibilità al punto da farsi carico del dolore altrui pur essendo la sua ancora di salvezza. Sono segnali di stile acquisiti da una educazione familiare altruista, generosa e carica di umanità. Valori confrontati anche con suor Margherita Di Rosa, sua insegnante di Matematica, e suor Maria Conti, sua docente di Italiano.
“Ricorderò sempre – recita la lettera – quando mi hanno comunicato l’inserimento ufficiale in lista per il trapianto di cuore: riuniti nella cappella della sagrestia dell’ospedale” insieme ai medici “è iniziata l’attesa. Devo dire che ho cercato di riempire le giornate leggendo tanto e progettando il “dopo”, sempre ponendo la massima fiducia in Dio. Poi alle 16.34 di un pomeriggio d’Ottobre è arrivata la telefonata”. C’era “un cuore disponibile. Dopo un iniziale momento di panico totale, nel quale ho gridato e pianto, mi sono ripresa ed ho cominciato a preparami. Il primo pensiero è andato al donatore ed alla sua famiglia e alla generosità del loro gesto. Giunta in ospedale tra prelievi ed esami vari il tempo è passato ed io pensavo solo che mi sarei addormentata e i medici avrebbero lavorato al meglio per me. Sapevo già che mi sarei svegliata in terapia intensiva e che non avrei potuto avere accanto mia mamma e mio papà, ma che loro sarebbero stati fuori dalla stanza”. “Ora sono a casa qui a Roma, il trapianto è andato bene ed io ho iniziato questo nuovo percorso che spero mi consentirà di stare bene e fare tante cose. Vorrei diventare un medico pediatra-cardiologo per aiutare tanti bimbi, anche quelli di paesi lontani, che come me avranno bisogno di cure”.
La lettera si chiude con un linguaggio semplice, affettuoso ed informale: “Caro Papa Francesco io pregherò per te e vorrei che, insieme a me, anche tu pregassi per tutti gli altri bimbi ammalati ed in particolare per quelli che ancora aspettano un cuore nuovo e una vita nuova e perché i loro genitori sentano sempre accanto a loro la presenza di Dio a sorreggerli e dargli forza”.
È evidente la statura interiore di Manuela. Vuol dare coraggio, in particolare, ai suoi genitori ed ai nonni. Ma il suo cuore nuovo improvvisamente si arresta. Ed è uno strazio. Un dolore compunto. Si intuiscono le tante domande senza risposta. Solo un’atmosfera di unione con Dio. La fiducia di Manuela nel Dio della vita e adesso la visione della Luce che sempre risplende sosterrà i lembi di una ferità che mai potrà rimarginarsi ma solo avrà, col tempo, il sapore della tenerezza.
A cura di Sr Maria Trigila