Il perdono – scrive il gesuita Giovanni Cucci – ha una sua dimensione affettiva. Ossia può essere favorito o ostacolato da alcuni elementi. Per esempio «il temperamento e la personalità possono incidere sul processo del perdono». Da punto di vista affettivo si possono evidenziare – dichiara Gucci – alcuni stati d’animo che possono bloccare tale processo, come il rancore e il risentimento. «Essi vanno riconosciuti e contrastati, perché fonte di avvelenamento interiore». Ve ne sono altri – aggiunge – che risultano di indubbio aiuto come l’empatia e la gratitudine.

Il perdono è un atto che coinvolge aspetti molteplici della persona da quello cognitivo a quello affettivo ed eventualmente anche relazionale. «Non è un gesto magico» capace di dissolvere il male ricevuto, ma richiede «una sorta di guarigione» della memoria, di confronto con la complessità e il mistero dell’altro. Il perdono è però indispensabile per poter vivere. Concedersi la possibilità di un’altra lettura è salutare per se stessi. Così scrisse Etty Hillesum di fronte alla propria situazione di reclusa nel lager:«Se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare – se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori, per farli decantare e farli diventare fattori di crescita e di comprensione -, allora non siamo una generazione vitale».